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6^ DOMENICA DI PASQUA (B)

 

1^ Lettura (At. 10, 25-27. 34-35. 44-48)

Dagli Atti degli Apostoli.

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare (nella casa di Cornelio), questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: "Alzati: anch'io sono un uomo!". Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto". Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?". E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

 

2^ Lettura (1 Gv. 4, 7-10)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per Lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

 

Vangelo (Gv. 15, 9-17)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".

 

RIFLESSIONE

 

Permettete una confessione? Prima di mettermi a scrivere questa riflessione, come cerco di fare sempre, ho letto e riletto le letture di questa domenica, e poi mi sono detto: "Sempre le stesse cose! Questo San Giovanni più che di amore non sa parlare… per forza che poi il povero predicatore rischia di stufare dicendo sempre le stesse cose!". Provate un po’, anche voi che avete appena udite queste letture, a chiedervi: "Che cosa mi hanno detto? Hanno smosso qualcosa dentro di me? …" La maledetta abitudine ha incrostato il nostro cuore e noi rischiamo di ritenere ripetitivo, stancante, solito, un annuncio che dovrebbe farci fremere, esultare, traboccare di gioia. Ecco solo alcune delle parole straordinarie ma reali, che ci riguardano personalmente, che abbiamo udito questa mattina: "Come il Padre ha amato me, io ho amato voi": io, proprio io sono l’oggetto dell’amore di Dio. "Voi siete miei amici". Non è stupendo sapere di avere Dio per amico? Non è più il Padrone che ci chiama servi, che si impone a noi con la paura, ma l’amico delicato che ci conosce, ci accetta, previene i nostri desideri buoni, ci consola, ci conduce… si offre a noi, non ci possiede ma ci lascia liberi… E, ancora: "Dio è Amore", non un motore immobile, non il perfetto che contempla solo se stesso, non il dio dei filosofi o gli dèi guerrieri dei miti, ma il Dio che crea perché ama, che conserva con provvidenza, che perdona con misericordia, che dona tutto perché è amore. "Non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi". Cioè un Dio che non sceglie in base ai meriti, ma che mi ha chiamato per nome e che mi dà la possibilità di amare come Lui ama, un Dio che arriva sempre per primo: "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi ed ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati", cioè un Dio che nell’amore di suo Figlio ha liquidato una volta per sempre i nostri debiti, le nostre vecchie pendenze. Se avessimo capito anche solo qualcuno di questi doni, dovremmo essere contenti: "perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena". Basterebbero notizie come questa o come quella che conclude l’odierno brano evangelico: "perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda", per farci uscire fuori da un cristianesimo di abitudine, di ripetitività, di noia. Infatti la nostra vita ha senso se Dio è al centro della creazione, della storia e del nostro essere e agire. Molti uomini mettono al centro se stessi: "Tutto quello che succede gravita intorno a me; l’importante è che sia io ad approfittare della vita, degli altri, che sia io ad avere successo, ad avere denaro e quindi potere". Ma, se sappiamo andare un po’ più a fondo ci accorgiamo quanto sia stupido questo modo di pensare. Il mondo c’era prima di me e ci sarà dopo di me. La storia si realizza con me o senza di me. Il mio successo è un attimo sfuggente, appena acceso già consumato. I miei denari non mi evitano la morte e le cose cui ho dato tante cure passeranno in mano ad altri che forse non sapranno neppure apprezzarle. Anche i cristiani, anche la Chiesa può fare questo errore di mettersi al centro del mondo, ma la storia insegna che non basta mascherare un potere di religioso per evitare tutti i limiti e tutti i guai che questo potere genera. Si tratta allora di rimettere le cose al giusto posto. E’ Dio il centro, il senso della creazione, della storia e anche della mia vita. Il vero motore di tutto è Lui che è amore. Noi abbiamo conosciuto l’amore che Gesù ha per noi: "Non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama", e Gesù lo ha fatto. Ma Gesù stesso ci dice che questa sua capacità di amare l’ha conosciuta nel Padre "e dal Padre l’ho fatta conoscere a voi". L’amore di Dio è creativo, è liberante, è continuo ma non asfissiante, è concreto, misericordioso, è dolce e forte, è paterno e materno, è "folle"… e noi, solo "rimanendo in questo amore" possiamo avere senso pieno. E allora, prima di ogni altra cosa lasciamoci amare! Il grande peccato è come quello del diavolo, è l’orgoglio del non lasciarci amare, del chiudersi nella propria sufficienza, nel sentirsi qualcuno che non ha bisogno, di sentire stupidamente di bastare a se stessi. Gesù, chiedendoci di "rimanere nel suo amore" ci prega: "Lasciati amare da Dio, lascia che i miei doni si riversino su di te!" Quando poi questo amore giunge fino a noi, non può rimanere sterile o infecondo. Questo amore, proprio perché amore vero, tenderà a donarsi a sua volta. E qui devo fare attenzione perché spesso io vorrei amare, ma come voglio io, quando lo stabilisco io, amare quelli che voglio io, invece Gesù mi insegna che devo amare come ama il Padre e come ha amato Lui, Gesù. Spesso io mi illudo di saper amare e di non aver bisogno di imparare, credo che l’amore sia qualcosa di naturale, che va da sé. Ma quando vengo raggiunto da quel provocatorio: "come Io vi ho amati", comincio a sospettare che l’amore sia una materia piuttosto difficile da imparare, una possibilità ancora tutta da esplorare. E allorché ci si mette a scuola da quel Maestro, si arriva a rinnegare se stessi, a dimenticarsi, a perdersi. Il Cristo ci ha amati non rimanendo al proprio posto, bensì abbassandosi, svuotandosi, divenendo servo di tutti. Io, invece, preferisco un amore che non mi costi troppo in termini di sacrifici, rinunce, spoliazione. Vorrei amare rimanendo al mio posto, senza scomodarmi eccessivamente, senza privarmi di nessuna delle cose cui sono attaccato. Mi riesce estremamente difficile ‘uscire’ da me stesso, dal mio egoismo, dai miei calcoli, dai miei programmi, dai miei interessi, per scendere fino all’altro, accorgermi della sua presenza, entrare nel suo problema, impossessarmi della sua sofferenza. Voglio essere io a decidere chi devo amare. E il Cristo mi fa capire che non devo escludere nessuno, neppure gli antipatici, neppure chi mi ha fatto del male. Il Maestro continua ad insistere che non devo essere io a scegliere il prossimo. Il prossimo si presenta come vuole, nel momento meno opportuno, nella maniera meno elegante; con le pretese meno discrete, spesso con faccia ripugnante. Beh, sì. Sono disposto a dare qualcosa, specialmente del superfluo, dopo aver fatto bene i conti in cassa. E il Cristo mi spiega che non c’è amore vero se non si arriva a darsi, ossia a dare se stessi più che le cose. E questo darsi, in certe circostanze, può significare "dare la vita per i propri amici". Allora mi nasce il dubbio di essere un analfabeta in fatto di amore, anche se questo termine ce l’ho in bocca di frequente. Altro che non aver più nulla da imparare! Sono un principiante che ha chiamato amore ciò che era semplicemente egoismo verniciato di buoni sentimenti. Ma non mi perdo d’animo. Se scopro di non essere capace ad amare come ama Dio, come Gesù, ho scoperto che ho bisogno di conversione e che da solo non posso cambiare il "cuore di pietra in un cuore di carne capace di amare", ma questa operazione, questo trapianto ha un medico pronto, capace di eseguirlo: lo Spirito Santo. Basta chiederglielo.

 

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